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LE COSE BUTTATE ‘DIETRO LE SPALLE’

Pubblicato il . Sezione: Testimonianze

«…lo puoi sentire mentre fai l’amore, o d’inverno in un giorno di sole quando non riesci a spiegarti con le parole se nessuno capisce il tuo dolore lo puoi sentire tutto in un momento quando nessuno ti viene incontro che non c’è vita senza calore che non c’è solo con le parole ma se nessuno ti abbraccia forte è sempre e solo dolore dolore…» Sono le parole di un noto cantautore, a me molto caro, che ha vissuto pur nell’unicità e irripetibilità di ogni vita la mia stessa storia famigliare.

L’incontro col Metodo Monari è l’incontro con Maddalena Monari, con la sua costante ricerca di comunicazione attraverso il lavoro sul corpo, attraverso il movimento, attraverso il contatto. È iniziato 11 anni fa; ero terapista della riabilitazione da circa 7 anni, professione a mio parere bella, utile agli altri e che esercitavo con quell’entusiasmo che molto spesso era intriso di onnipotenza e di desiderio di far stare tutti bene. Desiderio che ha radici lontane nel mio bisogno di rendere gli altri sempre contenti di me, desiderio che nasconde ben altri bisogni. Fisicamente sono sempre stata robusta, con allargamenti e restringimenti tipici di chi oltre a fare diete e poi smettere, non ha forse trovato il proprio spazio fra numerosi, in cui vivere, creare, sentirsi bene; con un aspetto di solidità a detta degli altri che mi ha fatto sentire tante volte indispensabile per l’altrui tranquillità. Insieme ad una collega presi contatto con il Centro Monari e mi iscrissi ad un corso settimanale, con la consapevolezza che mi avrebbe fatto bene, perché il lavoro quotidiano era pesante e volevo fare qualcosa per me. Fu subito chiaro che portata avesse questo tipo di lavoro in me, sentii i limiti dei miei muscoli, la rigidità della mia schiena e la mia generale immobilità, anche se non sentivo nessun dolore; solo molto dopo arrivando ad ammorbidirmi ho cominciato a sentire non solo la possibilità di muovermi, ma anche il dolore che affiorava, ciò che di antico era cementato in questa grande, solida schiena; tutte le cose buttate “dietro le spalle” l’avevano resa insensibile. Ricordo ancora con quale stupore, dopo poco l’inizio del mio primo corso, nel costruire ad occhi chiusi una figura umana, vidi che avevo fatto “un angelo” senza forma con al posto del corpo e delle gambe un unico, grande camicione! Sentii comunque che quello era il luogo, non solo fisico, in cui avrei potuto scoprire cosa era rimasto della bambina chiusa in un’armatura che non faceva trapelare nulla. Intuii il dolore e la fatica di conoscersi meglio, le paure e le resistenze mi fecero rifiutare per lungo tempo la partecipazione a stages, mi accontentai, riconosco oggi, delle consapevolezze che stavano emergendo ugualmente negli incontri settimanali. Intuii anche la fedeltà a questi momenti solo miei, in cui con calma ascoltare il mio corpo, cominciare a “sentire” dove erano le mie contratture e allungare lentamente i miei muscoli era cosa grossa per me, così portata a fare, anzi a strafare, per farmi accettare. La maggior parte delle cose che ho scritto le posso dire grazie a questo incontro col Metodo Monari; fino al momento in cui non ho potuto sbloccare e sentire il bacino, non ho avuto la consapevolezza di quanto fosse imprigionato e di quale emozione fosse carico questo incontro. Mettere una palla da tennis sotto i glutei, fare rotazioni del bacino sempre più velocemente, entrare nel blocco che c’è, nella difficoltà che il corpo fa a lasciarsi andare al movimento, senza voler controllare, senza volersi sforzare, ma solamente ascoltare, entrare in contatto. Ecco come ho potuto lentamente ricucire alcune ferite che il mio corpo porta difese dietro le contratture. Ciò è stato possibile grazie al lavoro di gruppo, al calore e all’energia che circola fra le diverse persone che sono alla ricerca di questo contatto, ad una conduzione di gruppo che non vuole creare dipendenze, né guarire per forza, ma che vuole essere testimone consapevole di questa rinascita. Così, piano piano che l’incontro col mio corpo avveniva, anche il rapporto con il corpo dei bambini con cui quotidianamente lavoro, si è modificato e sono ora meno tesa a volerlo guarire per forza, a tutti i costi, quasi con accanimento. Cerco di rispettarlo con i suoi limiti e i suoi tempi, consapevole dell’importanza di essere vicino a loro nella dolorosa strada di accettazione di un corpo che non sempre risponde come desidererebbero, ma che è vivo, pronto per incontrare… per comunicare…

Grazia Carboni

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    Lettera aperta ai fisioterapisti

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