Lettera aperta ai fisioterapisti
Scegliere di fare il fisioterapista significa scegliere di entrare in contatto col corpo di un’altra persona.
Scegliere di fare il fisioterapista significa scegliere di entrare in contatto col corpo di un’altra persona.
Nelle scuole di fisioterapia questo particolare passa in secondo piano lasciando spazio alle tecniche fisioterapiche, alla teoria e alla pratica, entrambe importanti e semplici da apprendere. Quello che non è semplice è l’incontro con un altro corpo, non spinti dall’eccitazione, come avviene nella sessualità, non spinti dall’amore, come avviene con le persone che amiamo, ma con un diploma in mano, davanti ad un corpo che chiede aiuto.
Un corpo malato che ha perso la sua energia e il contatto con sé.
Nelle migliori scuole di fisioterapia se ne parla ma non si accenna all’unica possibilità che ci permetterebbe di essere davvero dei fisioterapisti; quella di conoscere il nostro corpo, il suo linguaggio, i suoi silenzi, i suoi blocchi, le sue paure, le sue durezze. Per conoscere come curare bisogna conoscere le nostre possibilità e i nostri limiti. Lavorare sul nostro corpo è l’unica strada per lavorare bene sul corpo degli altri. L’unica strada per non lavorare al buio . Se le nostre mani sono morbide anziché rigide lo stesso trattamento ha un risultato diversissimo; se il nostro diaframma è libero e respiriamo profondamente siamo in grado di sentire e di cogliere ogni variazione del corpo, ogni piccola reazione nostra e della persona con cui siamo in contatto.
Quando conosciamo il nostro corpo non sappiamo solo la differenza fra un respiro profondo e un respiro corto, sappiamo anche come lavorare il diaframma rispettando i tempi della persona, sentendo e ascoltando quello che il suo corpo racconta. Possiamo sentire e comprendere senza mettere tutto a tacere con dei protocolli.
La strada per entrare in contatto non si trova né nelle tecniche né nell’esperienza; se noi siamo bloccati non siamo in grado di entrare in contatto con l’altro e l’esperienza non può che rafforzare e consolidare le nostre chiusure, facendoci trovare altre strade, democratiche o autoritarie che siano, strade prive di opportunità per chi cerca aiuto e prive di opportunità per noi, opportunità di non essere sordi e ciechi di fronte al dolore degli altri e al nostro.
E forse……… era quello che ci aveva spinto a fare i fisio-terapisti
Maddalena Monari